Forum - Il Paradiso Perduto
NB: In ogni intervento e commento, ciascuno è tenuto a rispettare gli altri, le loro opinioni, la fede o la non-fede altrui, nella consapevolezza della multiculturalità e pluralità della società attuale.
IL DRAMMA DELLE ETICHETTE FARLOCCHE
IL DRAMMA DELLE ETICHETTE FARLOCCHE
Raffaele Siciliano / marzo 26, 2015
Le statistiche della Coldiretti segnalano la situazione tragicomica del marchio di provenienza dei prodotti in Italia
di Massimiliano Paoloni
http://www.lifemarche.net/il-dramma-delle-etichette-farlocche-2.html
Prosciutto nostrano fatto con cosce di maiali olandesi, mozzarelle “di bufala” preparate usando cagliate dall’Ucraina, pasta tricolore con grano rumeno. Sono gli inganni a tavola di cui rischiamo di essere “vittime” nella spesa quotidiana, complice una mancanza di trasparenza in etichetta che interessa circa la metà dei prodotti che mettiamo ogni giorno nel carrello. A dare i numeri dell’invasione di prodotto straniero è la Coldiretti, secondo la quale le importazioni agroalimentari nelle Marche sono in continua crescita, tanto da aver raggiunto nel 2013 il valore di 430 milioni di euro, contro i 332 milioni di euro di cibo marchigiano esportato.
Colpa dell’assenza dell’obbligo di indicazione di origine in etichetta, ovvero quella frasetta che ci permette di sapere con certezza da dove proviene realmente quel prodotto o la materia prima agricola utilizzata per prepararlo. Un’informazione importante poiché oggi si tende a dare per scontato che una confezione che sbandiera il tricolore sia sicuramente italiana, ma per i cibi industriali non sempre è così, a prescindere dalla pubblicità con cui vengano reclamizzati. Una pasta legata all’immagine di campi di grano italiani potrebbe essere fatta con grano kazako. E un formaggio che ci assicurano provenire dalla stalla sotto casa potrebbe contenere in realtà latte tedesco. E’ il marketing, bellezza! Il problema è che ciò rappresenta una presa in giro, tanto più che quello che viene dall’estero non ha sempre le stesse garanzie di qualità e, soprattutto, di sicurezza di quanto produciamo in casa. La giustificazione che viene solitamente data è che il nostro territorio non è autosufficiente dal punto di vista alimentare su alcuni prodotti, che siamo costretti ad importare. Perché, però, non scriverlo in etichetta? E il fatto che i prodotti agroalimentari stranieri costino considerevolmente di meno (pur se poi venduti a “prezzi italiani”), sarà in qualche modo legato al loro incredibile appeal presso larga parte dell’industria alimentare, anche quando potrebbe acquistare da azienda agricole locali?

Nel mentre può essere utile fare un elenco dei cibi sui quali è in vigore l’obbligo di indicare l’origine: carne bovina, frutta e verdura fresche, uova, miele, pollo, passata di pomodoro, latte fresco, olio d’oliva. Ma anche scegliere i prodotti ad indicazione di origine, ovvero Dop e Igp, dovrebbe mettere al riparo da sorprese, così come approfittare delle filiere corte promosse dagli agricoltori, tanto direttamente in azienda quanto nei mercatini. L’etichetta resta, invece, anonima per salumi, coniglio, frutta e verdura trasformate, concentrato di pomodoro e sughi pronti, formaggi, pane e pasta, pecora e agnello, latte a lunga conservazione. La buona notizia è che in Europa il vento sembri essere cambiato. Fino a qualche anno gli stessi burocrati che calcolavano la curvature dei cetrioli erano convinti che l’origine in etichetta fosse un ostacolo alla libera concorrenza. Oggi i cetrioli restano storti, ma sulla trasparenza potrebbe aprirsi un’altra strada.
Raffaele Siciliano / marzo 26, 2015
Le statistiche della Coldiretti segnalano la situazione tragicomica del marchio di provenienza dei prodotti in Italia
di Massimiliano Paoloni
http://www.lifemarche.net/il-dramma-delle-etichette-farlocche-2.html
Prosciutto nostrano fatto con cosce di maiali olandesi, mozzarelle “di bufala” preparate usando cagliate dall’Ucraina, pasta tricolore con grano rumeno. Sono gli inganni a tavola di cui rischiamo di essere “vittime” nella spesa quotidiana, complice una mancanza di trasparenza in etichetta che interessa circa la metà dei prodotti che mettiamo ogni giorno nel carrello. A dare i numeri dell’invasione di prodotto straniero è la Coldiretti, secondo la quale le importazioni agroalimentari nelle Marche sono in continua crescita, tanto da aver raggiunto nel 2013 il valore di 430 milioni di euro, contro i 332 milioni di euro di cibo marchigiano esportato.
Colpa dell’assenza dell’obbligo di indicazione di origine in etichetta, ovvero quella frasetta che ci permette di sapere con certezza da dove proviene realmente quel prodotto o la materia prima agricola utilizzata per prepararlo. Un’informazione importante poiché oggi si tende a dare per scontato che una confezione che sbandiera il tricolore sia sicuramente italiana, ma per i cibi industriali non sempre è così, a prescindere dalla pubblicità con cui vengano reclamizzati. Una pasta legata all’immagine di campi di grano italiani potrebbe essere fatta con grano kazako. E un formaggio che ci assicurano provenire dalla stalla sotto casa potrebbe contenere in realtà latte tedesco. E’ il marketing, bellezza! Il problema è che ciò rappresenta una presa in giro, tanto più che quello che viene dall’estero non ha sempre le stesse garanzie di qualità e, soprattutto, di sicurezza di quanto produciamo in casa. La giustificazione che viene solitamente data è che il nostro territorio non è autosufficiente dal punto di vista alimentare su alcuni prodotti, che siamo costretti ad importare. Perché, però, non scriverlo in etichetta? E il fatto che i prodotti agroalimentari stranieri costino considerevolmente di meno (pur se poi venduti a “prezzi italiani”), sarà in qualche modo legato al loro incredibile appeal presso larga parte dell’industria alimentare, anche quando potrebbe acquistare da azienda agricole locali?

Nel mentre può essere utile fare un elenco dei cibi sui quali è in vigore l’obbligo di indicare l’origine: carne bovina, frutta e verdura fresche, uova, miele, pollo, passata di pomodoro, latte fresco, olio d’oliva. Ma anche scegliere i prodotti ad indicazione di origine, ovvero Dop e Igp, dovrebbe mettere al riparo da sorprese, così come approfittare delle filiere corte promosse dagli agricoltori, tanto direttamente in azienda quanto nei mercatini. L’etichetta resta, invece, anonima per salumi, coniglio, frutta e verdura trasformate, concentrato di pomodoro e sughi pronti, formaggi, pane e pasta, pecora e agnello, latte a lunga conservazione. La buona notizia è che in Europa il vento sembri essere cambiato. Fino a qualche anno gli stessi burocrati che calcolavano la curvature dei cetrioli erano convinti che l’origine in etichetta fosse un ostacolo alla libera concorrenza. Oggi i cetrioli restano storti, ma sulla trasparenza potrebbe aprirsi un’altra strada.
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IL DRAMMA DELLE ETICHETTE FARLOCCHE Raffaele Siciliano / marzo 26, 2015 Le statistiche della Coldiretti segnalano la situazione...

Discussione
11/10/2016 09:17:18
none
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IL DRAMMA DELLE ETICHETTE FARLOCCHE
@fenice.risorta : Concordo con te, è un bel problema. Hai letto del grano proveniente dal Canada, da loro scartato come tossico, importato in Italia per essere consumato ad uso umano!!!! Disgustoso.
13014591
@fenice.risorta : Concordo con te, è un bel problema. Hai letto del grano proveniente dal Canada, da loro scartato come tossico,...

Risposta
11/10/2016 11:01:53
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IL DRAMMA DELLE ETICHETTE FARLOCCHE
Anche se esiste un'assenza d'obbligo, volontariamente chi produce in Italia potrebbe dichiararlo in etichetta, precisando dove e come. Sarebbe un investimento sulle future vendite.
13014921
Anche se esiste un'assenza d'obbligo, volontariamente chi produce in Italia potrebbe dichiararlo in etichetta, precisando dove e...

Risposta
11/10/2016 13:39:40
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